Come preparare un testo da inviare a un editore

Alcuni semplici consigli (e trucchi informatici) su come preparare e correggere un testo da inviare a un editore, o a un concorso o al curatore di un’antologia o, buon ultimo, a me, se mi chiedete di darmi qualche consiglio su quello che avete scritto.

Per come la vedo io, quando un’autrice o un autore inviano un testo in lettura a un esterno, devono aver già fatto ogni sforzo per renderlo “perfetto”, per quanto possibile. O, perlomeno, ogni sforzo per eliminare dall’opera errori grossolani che possano far pensare a chi legge di avere a che fare con uno scrittore poco attento o trascurato.

Evitare l’effetto “dilettante superficiale” è facilissimo e richiede solo un minimo di accortezze. Si tratta di procedure banali e piccoli trucchi che chi scrive abitualmente adotta di default, ma per gli altri, può essere utile rammentarle.

Colin Wilson

Il correttore ortografico di word

Il correttore ortografico di Word o di tutti i principali programmi di videoscrittura è quella funzione che fa apparire sottolineate in rosso le parole che presentano errori di ortografia. Quando una parola appare sottolineata, occorre quindi risolvere il problema. Se si è sicuri di aver scritto correttamente la parola non riconosciuta dal dizionario, si può andare sulla stessa, premere il tasto destro del mouse e selezionare “aggiungi”. Da quel momento in poi, su quel computer, il correttore non la segnalerà più come errore. Come vedremo poi, questa funzione è molto utile nel controllo dei nomi stranieri.

Dopo aver completato di rivedere il testo, non dovrebbero più apparire sottolineature rosse. In caso di più revisioni, dopo aver fatto eventuali aggiunte, integrazioni e riscritture di frasi, suggerisco di effettuare un’ulteriore rilettura del testo, finalizzata soltanto a vedere se, a seguito delle modifiche, non sia apparsa qualche ulteriore sottolineatura rossa da risolvere. Di solito, rispunta sempre fuori qualcosa.

Personalmente, sul lavoro, ho imposto a tutti i miei collaboratori di attivare il controllo ortografico anche sulle mail. E di rileggerle prima di inviarle (non è una precisazione superflua). Trovo, infatti, insopportabile che all’esterno arrivino comunicazioni o testi con strafalcioni, quando è così semplice ridurre questi rischi.

Parlo di ridurre i rischi, perché il correttore non becca tutti gli errori. Se uno scrive pene invece che bene, per il correttore va tutto pene, perché si tratta comunque di una parola esistente e scritta correttamente. Quindi: ok il correttore, ma poi sempre rileggere attentamente.

Ernest Hemingway

Il controllo di nomi o parole difficili

Spesso nel testo appaiono nomi stranieri oppure, nei testi di carattere fantasy, dei personaggi con nomi inventati dall’autore, tipo Aspryleviksator (un bel nome per un demone). Talvolta l’autore stesso che ha inventato un nome o che lo ha scelto da qualche elenco di nomi antichi o stranieri, poi nel proseguo del testo, lo scrive con varie grafie diverse, cambiando qualche lettera, o tralasciando accenti. Niente di male, nella foga della scrittura può capitare. L’importante è poi individuare e correggere gli errori in sede di revisione.

Consapevoli che sui nomi il rischio di errore è elevato, occorre prestare una particolare attenzione quando l’incontriamo nel corso della rilettura.

Puoi usare due trucchi per individuare gli errori nei nomi.

Io utilizzo il correttore ortografico di Word. La prima volta che un nome non italiano compare nel testo, verifico, anche facendo una semplice ricerca sul web, che sia scritto correttamente. Una volta certo di ciò, aggiungo il nome al dizionario. Poi, se leggendo l’opera ritrovo il nome del personaggio, della città o della cosa sottolineato in rosso, vuol dire che lì c’è un errore di digitazione.

Invece, se per caso si rileva che varie alternative grafiche del nome sono già nel dizionario di Word (per esempio, il dizionario comprende Catherine e io, perché sono precisino, ci aggiungo Cathérine), si può usare una procedura più complessa. Si selezione il nome scritto correttamente e poi si apre la funzione “Sostituisci”. Nella maschera, nella sezione “Trova”, ove si mostra il termine da cercare, a quel punto sarà presente la parola scritta correttamente (Cathérine). Nella sezione “Sostituisci” si scriverà XXXXX, poi si premerà “sostituisci tutto”. Nel testo scompariranno tutte le Cathérine giuste e rimarranno solo quelle scritte con grafie diverse. Dopo aver scorso l’opera e corretto le Catherine e Catarine sbagliate, si risostituiscono le XXXXX con il nome giusto. Consiglio di non abusare di questa procedura. Se viene il dubbio di aver scritto più volte nello stesso modo sbagliato una specifica parola (per esempio, siete certi di aver scritto spesso Catherine), cercate e correggete direttamente la parola sbagliata con un “Sostituisci”.

Greta Garbo

Il controllo grammaticale di Word

Word e altri programmi hanno anche un controllo grammaticale, che in Office si attiva nel menu Revisioni. Spesso viene tenuto disattivato dato che tende a riempire di sottolineature azzurrine lo schermo, perché qualche volta sbaglia nell’interpretare le frasi e segnala errori inesistenti. Ma, prima di inviare a qualcuno un testo, la funzione va attivata e utilizzata per individuare soprattutto errori di punteggiatura e di concordanza tra soggetti, verbi e aggettivi.

Errori grammaticali banali

Prego tener presente che non ci devono essere spazi tra l’ultima parola della frase e il punto o la virgola che segue. E che i puntini di sospensione sono solo tre.

Questo è proprio il minimo sindacale in fatto di grammatica. Per quel che riguarda i dialoghi, non mi azzardo a scrivere niente, perché ci sono moltissime varianti e interpretazioni delle regole. Come preparare un testo per una antologia, solitamente è spiegato dal curatore, che fornisce istruzioni sul modo di trattare i dialoghi e su altri specifici aspetti.

Anthony Perkins

Gli spazi doppi

Un’altra operazione che può migliorare l’aspetto del testo è l’eliminazione dei fastidiosi doppi spazi tra una parola e l’altra. Si può utilizzare il
correttore grammaticale di Word. Oppure procedere in altre due maniere.

Quella faticosa è attivare in Word, nel menu Home, il tasto P (mostra tutto, ovvero Ctrl+0) che mostra tutte le tabulazioni: ogni puntino è uno spazio. Rovinandosi gli occhi, si può scorrere l’intero testo e individuare gli spazi doppi.

Io, però, preferisco utilizzare, nuovamente, la funzione “Sostituisci”. Nella maschera, nella sezione “Trova”, digito due volte spazio, mentre in quella “Sostituisci” digito spazio una volta sola. Quindi premo “Trova successivo” e il programma mi porta sul primo spazio doppio. Se è un errore di digitazione, premo “Sostituisci” e lo trasformo in uno spazio singolo, se, invece, è giusto che sia doppio e debba rimanere così, ripremo “Trova successivo” e vengo trasportato sul prossimo doppio spazio.

In questo caso, come nei precedenti usi della funzione “Sostituisci”, sconsiglio di premere impazienti “Sostituisci tutto” perché si rischia di combinare qualche guaio.

Constance Talmadge

Le ripetizioni

Ho sviluppato una vera e propria idiosincrasia per le ripetizioni.

Nei testi tecnici, come questo articolo, alcune ripetizioni sono inevitabili e tollerabili (per esempio, nel presente articolo uso spesso “scrivere” e “testo”). Talvolta, inoltre, è peggio usare sinonimi astrusi che ripetere una parola. Ci sono parecchi scrittori noti che se ne infischiano altamente delle ripetizioni. La mia idiosincrasia per esse è quindi un fattore personale. Tuttavia consiglio di fare qualche bel controllo sulle ripetizioni prima di sottoporre un testo a terzi perché è facile cadere nel ridicolo riproponendo lo stesso termine più volte nell’arco di poche righe.

Personalmente considero ripetizione anche l’utilizzo dello stesso ausiliario del verbo (allora sono andato in camera e sono caduto). Quindi, per quanto possibile, cerco di alternare i verbi retti da essere con quelli retti da avere, o giro le frasi.

Purtroppo non ho trovato un modo informatico in Word per individuare automaticamente le ripetizioni. Esistono programmi appositi per farlo: ad esempio, questo Edora, che ho visto in rete ma non ho utilizzato. Restando su Word, se uno si rende conto di tendere a ripetere spesso una parola, può fare un “Trova”. La parola verrà evidenziata in giallo e basterà scorrere il testo per vedere se appare più volte nell’arco di poche righe. Può valer la pena di farlo con i nomi dei personaggi e i sinonimi che abbiamo usato per identificarli (per esempio, l’inglese o il capitano). Io uso il “Trova” pure per anche, sono, poi, suo, sua (ma di questi ultimi due parlerò ancora in seguito). Ognuno può farsi una lista delle proprie parole ricorrenti e andarsele a ricercare con “Trova” alla fine della revisione.

Tranquilli, però! Per quanto facciate, qualche ripetizione rimarrà sempre.

Arthur Miller

Chi fa cosa

Sino a qui ho esaminato come preparare un testo in relazione ad alcuni elementi esclusivamente formali e grammaticali. Sono importanti per far sì che chi legge un’opera possa concentrarsi solo sul suo contenuto, senza essere infastidito da errori.

Non siamo ancora nella revisione vera e propria; tanto meno, nell’editing. Per quel che riguarda questi due aspetti, ho indicato vari testi interessanti in Libri sulla scrittura e l’editoria. Inoltre, ho estratto alcuni utili consigli in Cose da tenere di conto quando si scrive. Nel prosieguo di questo articolo mi limito a suggerire alcuni controlli basici da fare sul testo, al confine tra la revisione grammaticale e quella stilistica.

Un punto fondamentale è che dal testo risulti sempre chiaro CHI FA COSA. In special modo, come vedremo dopo, è importante che il lettore, nei dialoghi, non debba mai chiedersi chi stia parlando.

C’è chi pensa sia affascinante iniziare un capitolo illustrando le azioni di un personaggio senza chiarire chi egli sia. Secondo questi autori, la curiosità di scoprire chi stia agendo dovrebbe spingere il lettore a interessarsi a ciò che viene descritto. Può anche essere, in taluni casi. Come può essere che un giallo o noir richieda talvolta che non si debba proprio sapere chi compie certe azioni. Ma, a meno che non ci siano valide ragioni affinché non venga chiarito CHI FA COSA, l’effetto di questa trascuratezza è che chi legge si indispettisce o, comunque, che, una volta capito chi è il soggetto, il lettore sia costretto a tornare indietro e a ripercorrere il brano per comprendere meglio.

L’effetto è tragico: interruzione del flusso della lettura, lettore costretto a uscire dalla storia per fare analisi logica e grammaticale del testo, rottura della sospensione dell’incredulità.

Il problema del CHI FA COSA, in qualche rara circostanza è prodotto da una scelta dell’autore, ma nella maggior parte dei casi si manifesta all’interno del testo per un problema di poca accuratezza nella scrittura. L’autore, nella sua mente, ha ben chiaro chi sia il soggetto, ma non tiene conto della situazione del povero lettore, che, magari, proviene da tre frasi in cui è sempre variato il soggetto, o da un lungo paragrafo in cui si parlava di altre persone o si descrivevano eventi e situazioni non particolarmente legati al soggetto che ora deve agire.

Da tener presente che, a meno che non ci siano solo due persone in scena, un maschio e una femmina, scrivere “lui” non risolve il problema dell’identificazione del soggetto. Si cade, infatti, nel tragico LUI CHI?

Diffuse varianti del LUI CHI? sono SUO DI CHI? e GLI? MA A CHI?

Una frase come “GLI dette il SUO zaino”, posta subito dopo un paragrafo in cui tre scout osservano un paesaggio, minuziosamente descritto, può creare problemi irrisolvibili o che, perlomeno, richiedono di scorrere freneticamente su e giù tra le frasi per mezza pagina.

Carlo Fruttero

Chi parla?

Alla stessa famiglia del CHI FA COSA appartiene CHI PARLA? quando si affronta un dialogo.

Personalmente trovo odioso non capire chi stia parlando e dovermi rovinare la lettura della conversazione scorrendo velocemente le battute fino a quando non individuo un indizio che mi consenta, risalendo all’indietro, di attribuire le frasi ai personaggi. Il problema si pone soprattutto all’inizio dei dialoghi, ma talvolta si presenta anche nel corso degli stessi, dopo un inciso descrittivo.

“Ci potremo rivedere solo tra un mese!”

Cathérine scosse la testa. Sabatino si mise una mano nei capelli. Gli uccelli cinguettavano.

“Un mese è lungo.”

Un mese è lungo per Cathérine o per Sabatino? Bisognerà aspettare altre due o tre battute prima di capire se Cathérine aveva ripreso a parlare o se il commento era di Sabatino.

Oppure, il problema si presenta nei dialoghi secchi, dove si alternano solo le battute dei protagonisti, senza alcun inciso, ove il dialogo vada avanti per un pezzo, soprattutto se le “voci” dei due personaggi sono poco caratterizzate. A un certo punto, dopo un lungo ping-pong, si corre il rischio di perdere il ritmo e non capire più chi pronuncia la frase.

Il problema CHI PARLA, è oggettivamente più difficile da gestire rispetto a CHI FA COSA. Mentre a quest’ultimo si può ovviare con un minimo di attenzione, il dialogo richiede di fare scelte non banali.

La più usata è quella di inserire “disse Cathérine” in punti strategicamente individuati. E poi: “disse la ragazza”, e poi: “disse lei” e così via, con vasto ma faticoso utilizzo di sinonimi per individuare il soggetto.

Passando dal soggetto al verbo: secondo alcuni è sempre bene usare il semplice “disse”, che a un certo punto scompare dalla mente del lettore che lo vede solo come un attributo che serve a identificare chi parla, come il nome del personaggio nelle sceneggiature.

Secondo altri, usare tante volte “disse” è una ripetizione, da evitare. Quindi, uso alternato di: “esclamò”, “aggiunse”, “ribatté”, “fece”, “mormorò”, “urlò” e tanti altri.

A mio personalissimo avviso, credo che non si debba esagerare nel saccheggiare il dizionario dei sinonimi. Sono sempre giustificati: “domandò”, “chiese” e “rispose”. Altri verbi, che vogliono aggiungere troppo, come “insinuò” preferisco evitarli. Il lettore dovrebbe accorgersi da solo che un personaggio sta insinuando qualcosa.

Un altro accorgimento che si può adottare, con moderazione, è quello di inserire il nome o un elemento qualificante dell’altro protagonista B nella frase pronunciata da A:

“Dunque, Sabatino, te ne vuoi andare. Mi dispiace.”

Oppure:

“Allora, mio giovane amico, cosa ne pensi?”

Questo espediente va usato poco e solo quando riesce naturale. Deve essere giustificato dal contesto (anche il periodo storico influisce) e dai rapporti tra i personaggi.

Inutile aggiungere che tutti i problemi presenti nei dialoghi a due si moltiplicano quando parlano insieme tre o più persone. Allora è importantissimo, ma stilisticamente pesante, precisare sempre chi parla (a meno che non si tratti di voci che fuoriescano dalla massa indistinta, come “Uccidiamolo!”)

Maglio evitare i dialoghi a tre, o trasformarli, almeno in parte, in chiari botta e risposta tra due, con gli altri personaggi che si limitano ad assistere.

Lesley Osmond

La tecnica della rincorsa e l’evidenziazione

Quando scrivo un testo e sento che la scrittura sta scorrendo, cerco di andare avanti senza badare troppo alle ripetizioni e altri particolari, per evitare di perdere il ritmo. Quando inizio la sessione successiva, di solito, rileggo quanto scritto la volta prima, in modo di essere ben conscio di quanto accade nella parte di testo che precede quella che andrò a realizzare e per avere una uniformità di stile. Così arrivo bello caldo, avendo preso la rincorsa, al punto in cui devo ricominciare la fase creativa. Durante la rincorsa noto sempre qualche ripetizione o qualche frase che torna male. Se possibile, la sistemo al volo. Se vedo che devo perdere troppo tempo per sistemare il problema, evidenzio in giallo la parola o la frase in questione, per poi rivederla in seguito con calma e a mente fredda.

Evidenzio, invece, in verde le mie note SCRITTE IN MAIUSCOLO E GRASSETTO, su problemi di struttura o su integrazioni che devo fare al testo.

Naturalmente, ognuno ha il suo metodo per gestire queste fasi della scrittura e revisione. Io adotto quello appena descritto.

Distruggi i possessivi

All’inizio di ogni testo, nella bozza, ricopio sempre un promemoria, in grassetto evidenziato giallo. Il primo punto del promemoria è: DISTRUGGI I POSSESSIVI!

Suo, mio, nostro, spesso sono assolutamente inutili e appesantiscono le frasi. Pensiamo a: “I suoi lunghi capelli arrivavano fino a metà della sua schiena”. I capelli e la schiena sono certamente della ragazza, non possono essere di qualcun altro. Peraltro, che siano lunghi non c’è bisogno di precisarlo. Quindi si può ben scrivere: “I capelli le arrivavano a metà della schiena”. E ci avanza anche, nel ritmo della frase, uno spazio per qualificare questi capelli con aggettivo o un inciso che aggiunga una informazione utile, ovvero non già presente nel testo, in modo esplicito o implicito. Quindi potremo specificare che la capigliatura era bionda, o raccolta in trecce.

Anche un “Trova” può essere utile per andare a stanare nel testo i maledetti aggettivi possessivi.

Ho Chi Minh

Occhio ai riflessivi!

Il secondo punto del mio promemoria è OCCHIO AI RIFLESSIVI!

Qualche volta i pronomi riflessivi sono inutili e possono essere eliminati. Ad esempio: “Cathérine si sedette composta su una poltrona”. A me la frase suona meglio senza il si. Ma a parte questo, l’insidia peggiore dei riflessivi è la loro tendenza ad affollarsi, spesso nell’arco di una sola frase. Come in: “Dopo due passi si arrestò, e si volse verso il padre, in attesa. Dumont ce la presentò. Si chiamava Cathérine.” Tre si in due righe, per come la vedo io, sono un po’ troppi. Se possibile, meglio evitare. Anche qui alcune ricerche con “Trova” possono aiutare.

Airmen Ricketts

Il mio promemoria

Per chi, a questo punto fosse incuriosito, il promemoria che incollo all’inizio di ogni mio testo è il seguente:

  • DISTRUGGI I POSSESSIVI!
  • Occhio ai riflessivi!
  • Togliere Io, Lui, gli, mi
  • Ridurre i verbi passivi
  • Riesco a metterci un cliffhanger?

Per quel che riguarda l’ultimo punto, il cliffhanger, ne parlo in La struttura profonda del giallo e del noir, dove illustro come scrivere, dal punto di vista tecnico, un giallo o noir che catturi il lettore. Sull’argomento ho tenuto anche una relazione, registrata in questo video sul mio canale YouTube.

Buona scrittura!

Sergio Calamandrei

Sergio Calamandrei: vivo a Firenze, dove pratico il prosaico mestiere di commercialista. Mi appassionano scrittura, storia e letteratura. Per saperne di più: www.calamandrei.it/chi-sono-sergio-calamandrei/

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