Accadeva in Firenze capitale. Racconti storici dal 1865 al 1871

Ho avuto il piacere di curare, insieme a Cristina Gatti, l’antologia Accadeva in Firenze capitale. Racconti storici dal 1865 al 1871. Il volume comprende 14 racconti, tra i quali il mio Sabatino a Roma, finalmente, e un saggio sul contributo dato dai cartografi dell’Istituto Geografico Militare alla realizzazione dell’unità, anche cartografica, dell’Italia, corredato da rare immagini e tavole. Il libro, promosso dal Gruppo Scrittori Firenze, è stato pubblicato da Carmignani Editrice nel pregevole formato 17×24 che, nella sua ampiezza, permette apprezzare al meglio le immagini a colori.

Accadeva in Firenze capitale Curatori: Cristina Gatti e Sergio Calamandrei  Editore: Carmignani Editrice    Collana: Progetto DOC Codice ISBN: 9788893831796 Anno: 2021  Pagine: 266 Formato: 17×24 con immagini a colori 

In copertina, foto di Piazza della Signoria con ancora presente la vecchia Loggia dei Pisani.

Pur avendo talvolta collaborato alla realizzazione di altre antologie, è la prima volta che sono curatore, in compagnia di Cristina Gatti. Ringrazio Cristina, Micol Carmignani e tutti gli autori per aver consentito la realizzazione di quest’opera.

Gli autori sono: Gabriele Antonacci, Sergio Calamandrei, Renato Campinoti, Barbara Carraresi, Paolo Ciampi, Fabrizio De Sanctis, Cristina Gatti, Nicoletta Manetti, Maila Meini, Carlo Menzinger di Preussenthal, Roberto Mosi, Caterina Perrone, Pierfrancesco Prosperi, Vincenzo Maria Sacco. Il saggio Cenni sulle principali attività dell’Istituto Geografico Militare dai tempi di Firenze Capitale alla Grande Guerra è del Prof. Andrea Cantile. Con prefazioni del Gen. D. Pietro Tornabene, comandante dell’Istituto Geografico Militare, e dell’On. Giuseppe Matulli.


“Cosa succedeva a Firenze, negli anni in cui era capitale? Quali personaggi animavano le strade, le osterie e i salotti della città toscana? Quali sentimenti muovevano gli animi in quegli anni turbinosi in cui si stava compiendo l’unità d’Italia? Questi racconti, che spaziano dall’ironia al sentimento, dal giallo al sociale, dalla bella vita mondana al prorompente progresso tecnologico, formano un mosaico che permette di rivivere lo spirito di quel tempo; capire quello che fu, per Firenze, essere il centro del Regno e – perché no? – come sarebbe diventata la città se la capitale non si fosse mai spostata a Roma. Il volume è arricchito da un saggio sul contributo dato dai cartografi dell’Istituto Geografico Militare alla realizzazione dell’unità, anche cartografica, dell’Italia, corredato da rare immagini e tavole.”


L’antologia comprende il mio Sabatino a Roma, finalmente, storia che vede Sabatino Arturi, mio protagonista seriale di racconti ambientati al tempo di Firenze capitale, seguire come giornalista nel 1870 le truppe del generale Cadorna dirette alla conquista di Roma. Ho voluto così rendere omaggio a Ugo Pesci, all’epoca redattore del Fanfulla, che visse quei momenti e scrisse il gradevolissimo Come siamo entrati in Roma. Ricordi di Ugo Pesci con prefazione di Giosuè Carducci, Milano, Fratelli Treves Editori, 1911.

A seguire riporto la parte iniziale del racconto, che non è tratta dalla versione pubblicata, ma è ricavata da una versione estesa che supera i 50.000 caratteri. Nello scrivere, mi sono, infatti, lasciato prendere la mano e ho dovuto poi ridurre il testo per adattarlo alla pubblicazione in questa antologia.

Per far vedere il modo in cui lavoro, ho lasciato nel brano sotto riportato anche le note che mi scrivo a uso interno, che poi vengono eliminate nella versione che va in pubblicazione.

Volendo, puoi vedere anche il video di presentazione del mio racconto.

 

Presentazione del racconto Sabatino a Roma, finalmente

Sabatino a Roma, finalmente

Breccia aperta qualche decina di metri a destra di Porta Pia. Foto Lodovico Tuminello

 1° settembre 1870, in Firenze, capitale del Regno d’Italia

Plon Plon era sulle bocche di tutti in quei giorni, non si faceva altro che parlare di lui. Vittorio Emanuele se lo voleva levare di torno, ma non sapeva come fare.

A Firenze, Plon Plon era malvisto, non solo per l’atteggiamento altezzoso, la poco diplomatica franchezza e per il fatto che era considerato quasi un miscredente. Due erano le cose che noi fiorentini non gli perdonavamo: innanzi tutto, che il suo nome fosse stato proposto dai francesi per il trono di un ipotetico regno dell’Italia Centrale, nel 1859[1], dopo la fuga di Canapone, l’ultimo dei Lorena; poi, che la quindicenne Maria Clotilde di Savoia, figlia primogenita del Re, gli fosse stata consegnata in sposa da Cavour nel ’59 per sancire, con gli accordi di Plombières, quell’alleanza tra Francia e Piemonte che poi aveva portato alla seconda guerra d’indipendenza e alla proclamazione del Regno d’Italia. Napoleone Giuseppe Carlo Paolo, detto Girolamo, e anche Plon Plon, perché da piccolo storpiava così il suo cognome, nipote del grande Napoleone Bonaparte e cugino dell’imperatore Napoleone III, all’epoca aveva trentasette anni, ventuno più di lei, e veniva ritenuto un incallito libertino e un feroce antireligioso. Dicono che la pia Maria Clotilde, all’inizio, avesse rifiutato quel marito, ma, dopo essersi presa un mese di riflessione, avesse acconsentito alle nozze, per senso del dovere e amor di Patria. La corte torinese fu molto commossa dal fatto che la giovane principessa fosse stata messa nelle mani di un uomo di così cattivi costumi, mentre, probabilmente, ebbe poco da ridire sulla differenza d’età. Era, infatti, governata da un sovrano, Vittorio Emanuele, che nel ’47, a ventisette anni, aveva iniziato a frequentare una quattordicenne, la bella Rosina; dopo un anno ebbero una figlia.

Pare che Plon Plon, anche dopo aver sposato la religiosissima Maria Clotilde, avesse continuato imperterrito a passare da una donna all’altra e il fatto che questo bel tomo cornificasse con così poco rispetto una principessa italiana non ce lo rendeva per niente simpatico. Dal 21 agosto era a Firenze, inviato da Napoleone III per una disperata missione diplomatica, ora che la campagna francese contro la Prussia stava prendendo una brutta piega. Tutti i giorni Plon Plon andava dal suocero per pregarlo di dichiarare guerra ai Prussiani, e soprattutto, convincere l’Austria a fare altrettanto. Di questa triplice alleanza si era parlato a lungo nei mesi precedenti, ma senza concludere niente, perché Napoleone III, che non voleva inimicarsi i cattolici, aveva sempre rifiutato la condizione preliminare posta da Vittorio Emanuele II e sulla quale gli Austriaci erano stati subito d’accordo: il ritiro delle truppe di occupazione francesi da Roma e il via libera all’Italia per l’annessione dello Stato Pontificio. Adesso Plon Plon assicurava che Napoleone III acconsentiva a qualsiasi cosa il governo italiano avesse voluto. Ma ormai era tardi: la fine dell’Imperatore di Francia era considerata imminente e poi, anche volendo, l’esercito italiano non era affatto in grado di combattere contro i prussiani. Malgrado Vittorio Emanuele fosse desideroso di aiutare il suo vecchio amico, tutti i suoi ministri erano contrari all’intervento. Il Vicedirettore de la Nazione, che mi aveva convocato a desinare con lui a la Fenice, in via Calzajuoli [2], mi raccontò che, nel consiglio dei ministri del 28 agosto, il Re si era lamentato del fatto che il genero lo tormentava in continuazione e aveva chiesto che qualcuno glielo levasse di torno[3].

«Sarà la cattiva coscienza che turba tanto il nostro sovrano» concluse il vicedirettore, «per non essere corso in aiuto di Napoleone III che nel ’59, combattendo a suo fianco, di fatto, gli ha consegnato il Regno.»

«Ma in cambio si è preso Nizza e la Savoia» risposi. «E poi nel ’67 ha fatto sparare i suoi uomini contro di noi, che volevamo liberare Roma.»

«In realtà, i francesi non hanno combattuto contro l’esercito di Vittorio Emanuele, ma contro i volontari garibaldini.»

«Lo so bene; c’ero a Mentana, e ho perso tanti amici.»

Il vicedirettore mi fissò. Poi diede un’occhiata al piatto di cervello e carciofi fritti che aveva spazzato via in nemmeno un paio di minuti, mentre io ero ancora a metà della mia frittata trippata[4]. Si accese un sigaro e disse:

«Non è tanto che l’abbiamo presa a collaborare col nostro giornale, Arturi, ma conosco bene i suoi trascorsi e apprezzo il suo patriottismo. Lei è giovane… Quanti anni ha, di preciso?»

«Ne ho ventotto; sono del ’42.»

Breccia di Porta Pia

«Il governo ha richiamato alle armi le classi del ’44 e del ’45 [5], ma non credo proprio che arriveranno fino alla sua, costerebbe troppo. Ha prestato servizio nei granatieri, vero? Decorato a Custoza nel ’66.»

Annuii. Il vicedirettore era un uomo dalla pancia imponente e aveva un abbondante doppio mento. Si tolse gli occhiali e li pulì con un tovagliolo. Sbuffò una nuvola di fumo, mentre finivo la frittata. Riprese il suo discorso.

«Lei è poco esperto di giornalismo, ma ha fatto la campagna dell’Agro Romano con Garibaldi e si intende di operazioni militari. Vorrei inviarla al seguito dell’armata di Cadorna, che dal 16 agosto è attestata ai confini dello Stato Pontificio e che tutti siamo certi entrerà presto a Roma.»

«Già! Le tre divisioni che sono state denominate “corpo di osservazione” [6], anche se non si capisce bene cosa ci sia di tanto interessante da osservare lungo i confini del Papa.»

«Nel Regno ci piace dare alle cose nomi che facciano buona impressione, anche se talvolta peccano di sincerità. La lingua italiana ha tante sfumature… Comunque, i francesi continuano a perdere battaglie contro la Prussia e hanno ritirato la loro guarnigione da Roma [7]. I Pontifici sono certi che presto li attaccheremo. Guardi questo documento.»

Mi passò un foglio.

Era una disposizione emessa dal capo di Stato Maggiore dell’esercito pontificio che diceva: “Ha luogo di supporsi che uno dei mezzi con cui il governo italiano procurerà di voler risolvere la così detta questione romana sia quello di procurare di far trovare di fronte alle nostre truppe sui confini dei piccoli distaccamenti italiani che sorpassato di alquanto il confine vi venissero sorpresi e costretti a ripassarlo con la forza, dando così occasione a conflitto, di cui già alcuni immaginari se ne leggono sui giornali.” Ciò premesso, si ordinava che, in caso di sconfinamento di truppe italiane, il comandante “mandi tranquillamente un graduato ad avvertire che per equivoco si trovano in territorio pontificio intimando ad esse di ritornare nel loro ed offrendosi di accompagnarle, evitando con ciò ogni occasione di conflitto.[8]”


[1] Camerani nel suo Cronache di Firenze Capitale di Sergio Camerani. Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1971, dedica un capitolo a Plon Plon. Vedi pag 239 e ss.

[2] Vedi pag. 7 di Firenze in tasca. Una gita di piacere nella Capitale (1867). Guida economico-pratica. Riproduzione anastatica di una guida del 1867 dei Fratelli Pellas, Firenze. Con presentazione di Sergio Casprini. Apice Libri, Sesto Fiorentino (FI), 2014.

[3] Camerani cit. pag. 241

[4] Per i piatti consumati dai protagonisti, vedi la carta di una trattoria riportata a pag. 34 de La nuova capitale. Guida pratica popolare di Firenze ad uso specialmente degl’Impiegati, Negozianti, delle Madri di famiglia, e di tutti coloro i quali stanno per trasferirsivi. Tipografia letteraria, Torino, 1865. Riproduzione anastatica stampata da La Nazione.

[5] Da L’Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata di Alfredo Comandini completata da Antonio Monti, Antonio Vallardi, Milano, 1901-1942 (l’opera uscì a fascicoli nell’arco di un quarantennio), pag. 1226.  I richiamati erano circa 65.000, secondo Pesci, Come siamo entrati in Roma. Ricordi di Ugo Pesci con prefazione di Giosuè Carducci di Ugo Pesci. Fratelli Treves Editori, Milano, 1911, pag. 80 (d’ora innanzi: Pesci Roma). Il richiamo delle due classi per Pesci avvenne il 17/6/70, mentre per Comandini avvenne in luglio.

[6] Camerani cit. pag. 1210

[7] I francesi lasciarono Roma il 19/8/70, data in cui fu ammainata la bandiera francese da forte San Michele, salutata da 21 colpi di cannone. Comandini cit. pag. 1238

[8] Camerani cit. pag. 1243