Il giallo, il noir e Marilyn

Il giallo, il noir e Marilyn è un’antologia di racconti gialli e noir curata da Alberto Eva, alla quale partecipo con Sabatino e la guerra dell’oppio, il mio quinto racconto che ha per protagonista Sabatino Arturi, brillante giovanotto che vive in Firenze capitale del Regno d’Italia (1865-1871).

L’antologia (ISBN 9788893831246) è curata da Alberto Eva e pubblicata da Carmignani Editrice (2019).

GLI AUTORI

Racconti di: Sergio Calamandrei, Linda di Martino, Alberto Eva, Leonardo Gori, Loriano Macchiavelli, Daniele Nepi, Maurizio Pagnini, Riccardo Parigi e Massimo Sozzi, Enrico Solito, Mario Spezi, Martino Stefani, Enrico Tozzi, Federigo Vinci. 

A cura di Alberto Eva.

LA QUARTA DI COPERTINA

Titolo stravagante, pour épater les bourgeois? Sarebbe mezzuccio, indegno di quel presuntuoso, pallone gonfiato, che si costituisce quale curatore della presente antologia. Al contrario: accostamenti giudiziosi. Norma Jean, nascita modesta quanto gli studi, madre anaffettiva e vulvivaga, ha sempre inseguito la rispettabilità. Credeva di averla trovata in un “fine intellettuale” anche un po’ lefty… Quando si sono lasciati, il furbacchione ci ha fatto perfino il guadagnino, raccontando (più che altro) i fatti di lei, in confezione lusso. Sfruttata, ignorava che quella rispettabilità le era dovuta per statuto, in quanto essere umano. E basta. Il giallo, il noir, hanno nobili origini. “Edipo re”. “Macbeth”. Ma anche “Gli omicidi della Via Morgue”, “La lettera rubata”. È letteratura. Giallo, noir, per parlar d’altro. L’approdo al giallo-enigma, buono per procurare un cadavere al lettore, non inganni… È che, ultimamente, i due gemelli del goal si sono un po’ persi… complice il PC, il cui possesso autorizza anche Bubìo, a scrivere un racconto giallo, o noir. Nei casi più efferati, un romanzo. Marilyn la cercava, ignorando di averla; gli autori qui presenti non l’hanno mai persa. La rispettabilità di sé, del giallo e del noir. Ecco gli esiti. Tutto qui.

Sabatino e la guerra dell’oppio

Il mio racconto mette insieme Firenze capitale del Regno, la seconda guerra dell’oppio, la gloriosa missione diplomatica in Cina nel 1866 del capitano Vittorio Arminjon, la morte di uno dei primi sostenitori in Italia delle teorie evoluzionistiche, una fortuna in titoli emessi da una banca di Hong Kong e i biscotti dello storico Caffè Giacosa, locale aperto a Firenze da due fratelli torinesi nel 1860. Tanta roba, in un racconto lungo che spero possa appassionare i lettori. Questo è il suo incipit:


Marzo 1867

– Savoia! – Sentii gridare.

Poi tutto divenne confuso, fin quando non mi risultò, chiaro ed evidente, che il revolver era puntato verso la mia faccia, e stava per sparare.

Mi gettai a terra, proprio mentre risuonava la detonazione. Cercai di rotolare sotto al tavolo. Maledissi il momento in cui mi ero lasciato coinvolgere da Bonciani in quella storia. Ma forse, a voler essere precisi, la vera origine di tutto risaliva a sei mesi prima, quando Silvia era apparsa nella mia vita.

Settembre 1866, in Firenze, capitale del Regno

Conobbi Silvia nel settembre del 1866; ormai da tempo i miei mi stavano facendo una testa così, parlandomi di lei. Ero sottotenente di complemento e, terminata la guerra contro gli austriaci, venni posto in aspettativa dall’esercito. Subito, mia madre riprese a insistere.

– Hai ventiquattro anni, Sabatino; ora devi trovarti un impiego e una brava ragazza con cui sistemarti.

Silvia Bonciani era la figlia di un alto funzionario della Banca Nazionale Toscana, l’istituto che emetteva moneta per il Granduca e che stava continuando a emetterla dopo l’Unità, resistendo pervicacemente ai tentativi di farla incorporare dalla Banca Nazionale del Regno d’Italia. Ercole Bonciani era un uomo stimato, ben introdotto a corte, benestante, e sua figlia un ottimo partito.

– Ma com’è questa Silvia, mamma? – avevo chiesto.

– Minuta, ma davvero bella.

Avevo notato uno sguardo perplesso di mio padre, quindi chiesi conferma.

– E tu, babbo, dici che è bella?

– È un tipo.

– Ah, ho capito.

– Comunque è vivace e intelligente – cercò di rimediare mio padre, fulminato dallo sguardo di mamma. – La devi conoscere… Non vogliamo mettervi sotto pressione, quindi non andrai a casa sua a presentarti ufficialmente alla famiglia. Abbiamo optato per una situazione più informale, visti gli usi moderni. La incontrerai con i genitori domani alle dieci, in piazza del Duomo, davanti alle panche esterne del Bottegone. Poi, la porterai a vedere gli Uffizi e potrai fare bella figura; spero che ti sia rimasto attaccato qualcosa di tutte le visite di ospiti illustri in cui ho voluto che mi accompagnassi.

Il babbo era direttore degli Uffizi; lungimirante, aveva sempre preteso che andassi con lui quando portava dei ricchi stranieri o le famiglie dei nobili a giro per il museo. Così adesso tutti i membri della Firenze che conta mi conoscevano. E avevo imparato qualcosa anche di arte.

– Se vi troverete bene – aggiunse mamma – siamo già d’accordo che domenica saremo ospiti dai Bonciani.

– Fortuna che non ci volete mettere pressione, altrimenti ci avreste già fatti sposare per procura.

– Quante lamentazioni! – disse mio padre. – Quando i miei mi portarono a casa di tua madre per fidanzarmi, io non feci tante storie. E, come vedi, adesso sono ben contento di aver obbedito ai genitori.

– Sì – obiettò mamma – ma ti avevano portato per fidanzarti con mia sorella.

– Questi sono dettagli. In ogni caso, visto che ora c’è questa moda dell’amore, nessuno vuole forzare nessuno. Ma ti chiedo di conoscere Silvia. E tieni presente che potrebbe essere un buon partito.

– Obbedirò, padre. Una passeggiata negli Uffizi in compagnia di una signorina diciottenne non potrà essere peggiore delle centinaia che mi sono sorbito in questi anni, con moltitudini di nobili obesi o di vecchie inglesi rincretinite. Almeno spero.