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 L'unico peccato - Intervista

 

L'UNICO PECCATO è stato riedito nel 2014 col titolo SESSO MOTORE ZERO: L'unico peccato nell'ambito del Progetto SESSOMOTORE.

 

La nuova copertina:

 

 

L'edizione del 2006.

 

L'UNICO PECCATO
Amore e morte alla Biblioteca  Nazionale di Firenze

di Sergio Calamandrei

ZONA 2006 - pp.232
ISBN 88 89702 27 3
 

 

 

Intervista del 2006

 


 

Cosa è L’unico peccato e chi può essere interessato a leggerlo?

 

L’unico peccato è principalmente un giallo narrato in prima persona dall’investigatore privato, nel modo classico degli hard-boiled. Nel libro si alternano momenti drammatici e ironici, che spesso tendono a fondersi e tutto ciò nell’intento di raggiungere lo scopo fondamentale del romanzo, che è quello di divertire e interessare il lettore. Sempre in questa ottica ludica, si intersecano con la trama gialla due intense storie d’amore. Una è una relazione extraconiugale tra due persone, tutto sommato, deboli che, comunque, di fatto, mediante tante piccole faticose decisioni riescono a realizzare momenti d’amore che non speravano più di poter raggiungere. L’altra è la descrizione del titubante corteggiamento che un avvocato trentenne fa ad una studentessa ventenne, peraltro già impegnata; il ragazzo, che dall’alto della sua maggiore età ed esperienza in teoria dovrebbe essere in grado di gestire con tranquillità la situazione, in realtà ne viene travolto.

L’unico peccato, poi, è un romanzo che parla di libri antichi e moderni, di aspiranti scrittori e della Biblioteca nazionale. Oltre agli appassionati di gialli e di storie d’amore, il romanzo può quindi interessare chi ama “il leggere” e “lo scrivere”. Chi vuole, poi, può trovare nei dialoghi tra gli scrittori dei riferimenti alla struttura stessa de L’unico peccato che diviene quindi, in alcuni brevi momenti, un “meta-libro” che parla di se stesso.

Infine, la storia è ambientata a Firenze in maniera caratterizzata e ben riconoscibile e cerca di riprodurre lo spirito della mia città. Per questo il romanzo può essere apprezzato in modo particolare dai fiorentini, da coloro che hanno studiato a Firenze (l’ambiente degli studenti fuorisede è trattato in varie scene) e da chi a Firenze c’è passato (quindi quasi tutti).

In definitiva, mettendo insieme tutte queste componenti, penso rimangano ben poche persone che teoricamente non dovrebbero divertirsi a leggere il romanzo. Nella pratica, naturalmente, tutto poi dipenderà dal fatto se il libro riuscirà piacevole a leggersi o meno.

 

 

Perché hai scritto questo romanzo?

 

In realtà questa domanda è sbagliata. La domanda giusta dovrebbe essere: perché hai aspettato così tanto a scrivere un romanzo?

In effetti io sin da adolescente mi sono reso conto di avere un certo talento nello scrivere. Per essere più precisi mi piaceva scrivere e le cose che scrivevo, che fossero temi, pensieri o piccoli racconti, erano discrete. Questa però, mi risulta essere una qualità non troppo rara, di cui non c’è poi molto da vantarsi. Il mondo è pieno di persone che scrivono bene o abbastanza bene. Ma scrivere non basta per essere uno scrittore. Oltre al talento occorre avere una specie di “sacra passione” per la scrittura e moltissima costanza e forza di volontà. Se uno non si dedica con grandissimo impegno a coltivare il proprio talento rimarrà sempre uno scrittore “in potenza”, una posizione sostanzialmente velleitaria. Io sono rimasto in questo stato per tanti anni. Al tempo di scegliere l’università, e dunque, perlomeno a grandi linee, il futuro mestiere, optai per la concreta e tranquillizzante Economia e Commercio. Fossi stato davvero divorato dalla passione per lo scrivere, avrei scelto altro. Mi sarei indirizzato verso studi che potessero portare al giornalismo o me ne sarei andato da Firenze in cerca di lavori più creativi a Milano o Roma. Mi trattenne, credo, la non infondata consapevolezza del fatto che, pur avendo talento per la scrittura, in fondo non avevo niente di cui scrivere. Qui si innesta un’altra considerazione: ci sono individui che entrano nel mondo con le idee già ben chiare in testa e solidamente strutturate. Essi quindi sanno dare una risposta o una motivazione a quasi ogni accadimento o sentimento e dunque possono scriverne senza problemi. Io a venti anni vivevo nel relativismo più completo e, in pratica, mi ero raccapezzato ben poco su come funzionasse davvero il mondo. L’unica cosa di cui avrei potuto parlare con cognizione era il fatto che ero confuso e che non sapevo dare un senso reale a quello che stavo facendo. Sinceramente mi pareva un argomento un po’ limitato e di scarso interesse generale. Forse, ripensandoci oggi, non lo era e qualcosa di buono poteva venire fuori comunque ma il rischio di limitarsi a lamentazioni da crisi adolescenziale era elevatissimo.

 

 

Quindi l’idea di scrivere un romanzo è stato sempre presente ma il problema era quello di definirne con precisione il contenuto?

 

Per anni, in effetti, ho scritto solo brevi brani in cui esprimevo riflessioni e concetti magari interessanti o carini ma molto frammentati. Mi parevano però cose un po’ fini a sé stesse. Sentivo l’esigenza di realizzare qualcosa di più completo, che esprimesse in modo articolato la mia visione della vita.

I primi appunti sulla trama del romanzo e la descrizione iniziale dei personaggi sono della fine degli anni ottanta. Poi per dieci anni ho vissuto. Ho lavorato, mi sono sposato, ho avuto due figli, ho osservato molto quello che mi accadeva intorno. In questo modo, alla fine, ho scoperto ed ordinato nella mia mente quello che avevo da dire. A quel punto, nell’estate del 2000, ero pronto a riprendere in mano il romanzo.

 

 

Quanto tempo hai impiegato a scriverlo?

 

È difficile quantificare il tempo effettivamente dedicato a questo romanzo. Di fatto, riesco a scrivere solo nelle vacanze e nei finesettimana. Nell’estate del 2000 detti una sistemata e un primo sviluppo al materiale che avevo. La prima stesura l’ho realizzata, in pratica, nel periodo che va dall’agosto del 2001 all’agosto del 2002. Poi ci sono stati due anni abbondanti in cui ho lavorato frammentariamente e con abbondanti pause alla revisione, completata alla fine del 2004. Nel marzo del 2005 ho inviato il manoscritto agli editori. La realizzazione del romanzo è stata quindi molto lunga; la cosa che mi fa un po’ di rabbia è che con il ritmo di scrittura che riuscivo ad avere nei periodi estivi in cui potevo dedicarmi appieno allo scrivere (quasi 1.500 parole al giorno) avrei potuto completare la prima stesura del mio romanzo in meno di tre mesi. Ma questo credo che sia il rammarico che hanno tutti quelli a cui piace scrivere ma che fanno altro per vivere.

 

 

Uno dei personaggi de L’unico peccato è un professionista, un’altra è un’assistente universitaria, tutti sono aspiranti scrittori: quanto c’è di autobiografico in questo romanzo?

 

Di fatto, uno porta in quello che scrive le proprie esperienze, e scrivere di ciò che si è vissuto e si conosce bene dà concretezza e verosimiglianza alla trama. Detto ciò, uno scrittore deve essere capace di immedesimarsi e di entrare in empatia con i propri personaggi in modo da poter rappresentare con precisione e coerenza i loro pensieri e le loro motivazioni. Io, personalmente, amo tutti i miei personaggi, anche i meno condivisibili, e capisco le loro motivazioni e compatisco le loro sofferenze o i loro tormenti. Ho convissuto a lungo (più di dieci anni) con i protagonisti del L’unico peccato, chiedendomi cosa avrei potuto fare o pensare se mi fossi trovato ad affrontare le loro situazioni. Quella che alla fine ne è venuta fuori potrebbe essere definita una specie di autobiografia dei pensieri, anche se ben poco legata alla mia vita reale. In effetti, ad esempio, non mi è mai capitato di assassinare qualcuno.

 

 

Qual è il tema del romanzo?

 

Come già detto, L’unico peccato vuole innanzi tutto essere divertente e piacevole a leggersi. Detto questo, alcune idee e riflessioni traspaiono indubbiamente tra le righe del testo rendendo il romanzo denso di concetti.

Una cosa di cui sono convinto, e che ritorna spesso nel libro, è che tante volte noi crediamo di decidere qualcosa ma in realtà spesso siamo invece “decisi” dall’accumularsi degli eventi e delle decisioni pregresse. In altri termini, alcune scelte sono di fatto obbligate e rese inevitabili dalla miriade di piccole scelte fatte in precedenza.

A questa visione “minimalista” del libero arbitrio, che si manifesta non tanto in isolate e rare scelte epiche ma piuttosto in un continuo susseguirsi di tante piccole e faticose e poco gratificanti decisioni quotidiane, è legato anche un altro concetto, ovvero che ogni risultato che otteniamo è conseguito grazie al susseguirsi di tanti piccoli sforzi di volontà e costa una immensa fatica.

Oltre a questi concetti generali, le due storie d’amore affrontano più o meno direttamente vari temi presenti nei rapporti tra uomini e donne, quali:

  • l’amore come ricerca nell’altro delle cose che ci mancano;
  • l’indubbia maggior forza delle donne rispetto agli uomini (i quali talora possono attingere a questa forza delle loro compagne per rivitalizzarsi);
  • l’amore come cura contro l’appannamento della personalità causato dall’impegno del lavoro e del quotidiano;
  • quanto può comunque essere bello e ricco anche in un amore non corrisposto (con una chiara scelta di campo in relazione all’antico dilemma: è meglio amare o essere amati?).

Ognuno di questi temi, certo, richiederebbe un romanzo a sé. Nel mio libro mi limito a lasciarli trasparire sullo sfondo.

 

 

Tra i vari personaggi ce n’è uno che ti è particolarmente caro?

 

I personaggi del libro sono quasi tutti uomini. Quello a cui sono più affezionato è invece Laura Sani, un personaggio che porta in se tanta debolezza e fragilità ma al contempo tanta forza. È una donna e non so se in realtà sono riuscito a rendere bene la mentalità e il modo di pensare femminile, questo me lo sapranno dire solo le mie lettrici.

 

 

Cosa ti aspetti, in definitiva, dalla pubblicazione de L’unico peccato?

 

Che mi dia la forza e l’entusiasmo di scrivere ancora molto.

Perché di forza di volontà, per realizzare quello che realmente vogliamo fare, ce ne vuole davvero tanta.

 


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