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ALBA A CHINDE 

 


Il racconto Alba a Chinde è stato inserito nella mia antologia SANGUE GRATIS E ALTRI FAVOLOSI RACCONTI che comprende i racconti lunghi: Sangue gratis e altre favolose offerte; Tsunami; Alba a Chinde.

 

Maggiori informazioni sull'antologia sono presenti in questa pagina.


 

L'incipit di Alba a Chinde

 

Conobbi il Conte al Casinò di Montecarlo una tranquilla sera d'agosto.

Al Conte non dispiaceva mescolarsi alla folla, però giocava in una delle salette riservate, dove solo pochi eletti avevano accesso e l'atmosfera era quasi rarefatta con camerieri silenziosi ed ogni tanto mormorii e gemiti sommessi di insoddisfazione.

Era un uomo di straordinaria eleganza, finissimo nei modi e sempre pronto alla battuta arguta, con un viso magro e pallido nel quale spiccavano due occhi vispi e mobilissimi. Ma la cosa che più colpiva in lui era l’infinita vitalità, la voglia di fare ogni cosa in fretta con la paura quasi di non riuscire a gustare tutti i piaceri della vita nel breve corso di una esistenza. Perdeva con disinvoltura cifre enormi alla roulette mantenendo sempre un sorriso teso, quasi forzato; quando vinceva invece rideva con gusto o sorseggiava soddisfatto una coppa di champagne stringendosi vicino una delle ragazze bionde che lo circondavano.

In quei momenti sembrava proprio l'immagine in terra della perdizione ma poi si irrigidiva e gettava uno sguardo triste in giro, quasi a volersi giustificare, a dire che non era quello che lui desiderava ma che non poteva fare altro.

 

Parlammo un po' e gli rimasi così simpatico che mi invitò ad andare a folleggiare con lui. Senza pensarci neanche un attimo, accettai.

Il Conte sorrise in modo strano e il suo sguardo mi lasciò e si perse a fissare un punto indeterminato del tavolo verde. Rimase così qualche secondo, quasi a riflettere, a commentare tra sé e sé il mio entusiasmo a seguirlo.

Ci rimasi un po' male; perplesso, non riuscivo a capire se egli avesse davvero desiderato la mia compagnia o se la sua offerta obbedisse soltanto ad un copione liso ormai venutogli a noia. Ma fu solo un istante, poi il Conte mi prese per un braccio e scoppiò a ridere iniziando a trascinarmi giù per le gradinate del Casinò verso la sua macchina con l'autista ad aspettarci.

"La notte è giovane," continuava a ripetermi, "venga, carissimo".

L'aria tiepida della notte pareva averlo reso euforico e rideva sempre più spesso.

L'autista partì senza bisogno che gli si ordinasse niente e si diresse verso chissà quale meta.

Anch'egli era un tipo magro e pallido ma molto più alto del padrone e decisamente meno estroverso; aveva anzi un non so cosa di glaciale, di freddo che non capivo bene se era frutto del suo carattere o se gli derivava dalla sua professione di imperturbabile servo di quell'aristocratico signore. Comunque volava attraverso il traffico cittadino, rischiando molto di più di quanto sia permesso ad un autista e sottoponendoci ogni tanto a scosse e sobbalzi violenti.

Ma il Conte pareva non rendersene conto; era come caduto soprappensiero ed aveva smesso di ridere, anzi, non prestava nemmeno più molta attenzione alle mie domande e dava risposte vaghe ed elusive sulla nostra futura destinazione: "Vedrete," mi diceva, "fidatevi di me; questo viaggio ve lo ricorderete per tutta la vita."

  


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