La psicologia evoluzionistica – #SM2 post n. 8

Questo articolo fa parte della pubblicazione integrale sul web di Sesso Motore 2: perché si fa poco sesso. Il saggio che spiega cosa fa girare il mondo e perché vogliamo essere ricchi e potenti invece che felici.


In psicologia, varie idee di tipo evoluzionistico si erano manifestate nel corso del tempo, ma esse vennero a concretizzarsi in una specifica corrente teorica a partire dalla fine degli anni Settanta. The evolution of Human Sexuality di Don Symons del 1979 è considerato il primo trattato moderno sulla psicologia evoluzionistica (pubblicato in italiano nel 1983 col titolo L’evoluzione della sessualità umana).

Tra i pionieri di questa scuola ricordo Leda Cosmides, John Tooby, Martin Daly, Margo Wilson, ma soprattutto David M. Buss, che nel 1999 pubblicò il fondamentale Evolutionary psychology: the new science of the mind, in italiano Psicologia evoluzionistica, di cui è uscita nel 2012 una quarta versione ampliata per dare conto di molte ricerche portate avanti nel frattempo da vari studiosi. Quest’ultima edizione di Psicologia evoluzionistica fornisce un quadro completo dello stato dell’arte dell’omonima scuola psicologica. In Italia si sono occupati di psicologia evoluzionistica, tra gli altri, Angelo Tartabini, Mauro Adenzato e Marco Costa.

Gli psicologi evoluzionistici ritengono che la selezione naturale e sessuale abbia forgiato non solo il nostro corpo ma anche la nostra mente. I biologi avevano definito adattamenti quelle “soluzioni evolutesi per risolvere specifici problemi, che contribuiscono direttamente o indirettamente al successo riproduttivo” (NOTA 8). Si tratta quindi di meccanismi affidabili, efficienti ed economici (nel senso che richiedono un investimento di risorse limitato rispetto ai benefici ricavati) che si sono sviluppati in tutti i membri di una specie per risolvere dei ben definiti problemi di adattamento. Le ghiandole sudoripare, ad esempio, anche se al giorno d’oggi talvolta facciamo un po’ i difficili e ci lamentiamo del nostro sudore, sono un adattamento che aiuta a risolvere il problema della regolazione termica. Oltre agli adattamenti esistono gli esattamenti o ex-attamenti (exaptation). Si ha un esattamento quando un organo formatosi inizialmente per assolvere ad alcune funzioni viene poi nel corso dell’evoluzione utilizzato dall’organismo per svolgerne altre. Gli esattamenti sono moltissimi e sono in grado di spiegare la nascita di organi complessi che quando hanno iniziato a formarsi certamente non potevano essere subito efficaci per svolgere la loro funzione attuale. Si pensi, ad esempio, alle ali. Di sicuro non è che al dinosauro progenitore degli uccelli un bel giorno sia nato un figlio dotato di ali ben formate e funzionanti. Le prime mutazioni dettero origine a delle escrescenze che furono mantenute dato che presumibilmente svolgevano una funzione utile allo scambio di calore e alla regolazione termica del corpo dell’animale, e quindi gli davano un vantaggio competitivo sui suoi simili. In seguito, crebbero ulteriormente e forse furono utili nel movimento a terra. Solo dopo moltissimo tempo le ali furono esattate per il volo.
Secondo gli psicologi evoluzionistici gli adattamenti (e gli esattamenti) non sono solo fisici ma operano anche nel campo dei comportamenti. Nella nostra mente esistono, trasmessi a noi dai nostri progenitori e scelti dalla selezione naturale e sessuale, tanti meccanismi psicologici evoluti che forniscono delle risposte standard quando l’individuo si trova di fronte a un particolare problema adattivo. Se incontriamo un serpente, si attiva un meccanismo che ci dice immediatamente che ci troviamo di fronte a un problema di sopravvivenza e subito, senza bisogno di pensieri coscienti, si attivano processi di difesa. La paura per i serpenti è dunque un adattamento che ci aiuta sopravvivere. I meccanismi psicologici evoluti si sono formati nel corso dell’evoluzione umana perché ognuno risolve uno specifico problema di sopravvivenza o di riproduzione che si è ricorrentemente presentato nel corso della nostra storia. È per questo che noi abbiamo paura dei serpenti e non abbiamo invece una paura istintiva per i cavi elettrici scoperti (o per infilare oggetti nelle prese, paura che farebbe tanto comodo ai bambini): i nostri antenati hanno avuto a che fare per milioni di anni con i serpenti (e chi non aveva ereditato meccanismi di allarme nei confronti delle cose che strisciano non è sopravvissuto) mentre le prime centrali elettriche sono nate solo alla fine dell’Ottocento. Pochi decenni sono un periodo nemmeno percepibile per quel che riguarda l’evoluzione naturale e quindi non c’è stato sinora il tempo di sviluppare alcun adattamento ai problemi posti dalla corrente elettrica.
Secondo la psicologia evoluzionistica quindi, sia pur con alcuni distinguo, la nostra mente è “modulare”. Abbiamo dei meccanismi automatici di risposta che a fronte di certi input, di certe situazioni che rappresentano un problema, suggeriscono un output, ovvero una risposta standard. Gli psicologi evoluzionistici non sostengono però che noi siamo dei robot: la nostra storia evolutiva si limita a suggerirci una risposta istintiva, noi possiamo poi coscientemente decidere di agire in modo diverso. Non è detto neanche che la soluzione suggeritaci dai nostri meccanismi psicologici evoluti sia effettivamente la migliore in quel caso concreto e che porti alla soluzione del problema; essa ci viene proposta solo perché nel corso della storia umana quella soluzione mediamente è stata quella più efficace per garantire il successo riproduttivo. Inoltre, col cambiare dell’ambiente non è detto che le soluzioni che davano risultati migliori per i nostri antenati siano ancora valide per noi. Anzi: la rivoluzione della società umana che si è verificata negli ultimi diecimila anni con la nascita dell’agricoltura ha mutato profondamente l’ambiente sociale in cui vive la nostra specie e questo disallineamento tra il mondo attuale e quello in cui per milioni di anni si sono forgiati i nostri meccanismi psicologici di risposta automatica può essere all’origine di un certo disagio o inquietudine che pare essere presente nel fondo dell’animo umano.

David Buss

In effetti, il periodo che va da 10.000 anni fa ad oggi, chiamato Olocene, è stato vissuto dagli uomini in maniera molto diversa dalla parte precedente della nostra storia evolutiva. Fu all’inizio dell’Olocene che gli Homo Sapiens, unica specie umana rimasta dopo l’estinzione dei Neanderthal avvenuta circa 30.000 anni fa, cessò di essere nomade e iniziò a praticare l’agricoltura. Con l’agricoltura gli stanziamenti umani divennero fissi, fu possibile costituire comunità con un numero di membri enormemente superiore rispetto a quelle sino ad allora esistenti, il concetto di proprietà divenne importante, si ebbero lo sviluppo tecnologico, il commercio, l’arte e, col tempo, il denaro. Anche il linguaggio articolato e il pensiero simbolico sono una conquista recentissima dell’umanità; la data precisa della nascita del linguaggio non è determinabile ma presumibilmente avvenne nell’ambito dei Cro-Magnon, che erano dei Sapiens che si stabilirono in Europa circa 40.000 anni fa.
Ben diverso rispetto a quello dell’Olocene era, invece, l’ambiente di adattamento evoluzionistico (AAE) in cui si sono formati la maggior parte degli adattamenti psicologici evoluzionistici che attualmente ci influenzano. L’ambiente in cui ci siamo evoluti è quello del Pleistocene, periodo iniziato circa due milioni di anni fa e terminato da diecimila anni. All’inizio del Pleistocene viveva in Africa l’Homo Habilis, dal quale noi Sapiens discendiamo, sia pure attraverso una successione di specie ancora poco chiara. In ogni caso, tutti i nostri antenati sono stati dei cacciatori-raccoglitori nomadi organizzati in gruppi che forse al massimo potevano arrivare a 250 persone. Anche dal punto di vista numerico, quindi, l’ambiente sociale in cui si sono sviluppati gli adattamenti psicologici che oggi ci muovono è molto diverso da quello attuale. Gli uomini non vivevano accalcati gli uni sugli altri, tutti i membri della comunità si conoscevano benissimo e presumibilmente erano imparentati tra loro, quindi difendere i membri del proprio gruppo equivaleva a difendere soggetti in qualche misura portatori dei propri geni. Naturalmente questi gruppi interagivano (non sempre in modo pacifico) con altri gruppi, anche per ampliare la propria varietà genetica (NOTA 9). Nel valutare quanto diverse possano essere le condizioni di allora rispetto alle nostre, occorre anche tener presente che fino a circa centocinquanta individui le comunità umane si autoregolano mediante la pressione sociale. Quando si superano queste dimensioni, per ottenere il rispetto di certi standard di comportamento occorrono strutture istituzionali complesse che generano insofferenza e che portano spesso a ingiustizie in danno dei singoli; per questo le società attuali, grandissime, tendono a dividersi al loro interno, dato che gli individui cercano di ritrovare in sottogruppi più ristretti un confortante senso di appartenenza che l’immensa comunità in cui vivono non riesce più a dar loro (NOTA 10).

Secondo molti studiosi, gli ultimi diecimila anni di storia più civilizzata, anche se il meccanismo di perfezionamento e adattamento dei nostri meccanismi psicologici evoluti non è affatto cessato, non sono stati un periodo abbastanza lungo per scalfire più di tanto i moduli comportamentali che abbiamo ereditato dai nostri antenati. Noi, quindi, a livello profondo, abbiamo gli stessi comportamenti istintivi degli uomini dell’età della pietra. Gli psicologi evoluzionistici cercano dunque di capire certi comportamenti degli esseri umani chiedendosi se tali atteggiamenti possano essere stati utili per il successo riproduttivo degli antichi cacciatori-raccoglitori. Per far ciò è di grande utilità anche studiare i comportamenti delle ultime popolazioni isolate e primitive ancora viventi che mantengono lo stile di vita dei nostri progenitori.

Come ho già accennato, noi non siamo dei robot guidati in automatico dai nostri adattamenti psicologici. Le risposte istintive suggerite dalla storia evolutiva dell’uomo vengono in tutti noi mediate dalla razionalità e dalla cultura. Esiste poi in ogni caso una variabilità notevolissima nei comportamenti dei singoli individui. Pertanto, quando nel proseguo del saggio scriverò che gli uomini o le donne si comportano in un certo modo, ciò equivarrà a dire che, per me, esiste una tendenza media generale in tal senso, spesso derivante dai meccanismi psicologi evoluti; non significa che quel comportamento sia adottato proprio da tutti o da te in particolare.
In ogni modo, respingere l’idea che noi siamo in qualche misura condizionati dagli adattamenti sviluppati dai nostri avi può farci sentire esseri civili al cento per cento e padroni di gestire in piena autonomia il nostro destino ma probabilmente rende difficile comprendere le motivazioni profonde che regolano vari aspetti della nostra vita sociale e sessuale. Ci fa inoltre pensare che talvolta l’altro sesso si comporti da stronzo, quando invece segue solo la sua natura.


NOTA 8 – Buss PE pag. 9.

NOTA 9 – Può darsi che il “fascino della straniera” o dello “straniero” per cui persone di nazionalità o etnia diversa possano risultare particolarmente attraenti dal punto di vista sessuale, derivi dal fatto che è cosa evolutivamente positiva ampliare la gamma dei geni circolanti in una popolazione unendosi a soggetti portatori di un patrimonio genetico diverso.

NOTA 10 – Vedi Tattersall pag. 198.


Questo articolo fa parte della pubblicazione integrale sul web di Sesso Motore 2: perché si fa poco sesso. Il saggio spiega cosa fa girare il mondo e perché, stranamente, vogliamo essere ricchi e potenti invece che felici. Illustra il contraddittorio rapporto esistente tra il sesso e la nostra società e fornisce risposte ad alcune, legittime, domande:

  • Perché il sesso è così pubblicizzato in questa nostra società e così osteggiato nella sua messa in pratica?
  • Perché ci dedichiamo relativamente poco a un’attività tanto piacevole e che in teoria sarebbe anche priva di costi?
  • Perché nel mondo reale s’incontrano tante difficoltà ad avere piena soddisfazione sessuale?

Il saggio viene pubblicato integralmente sul mio sito; qui l’elenco degli altri post sinora pubblicati. Chi volesse leggerlo su un libro cartaceo o su un ebook può trovarlo in tutti i principali store on line o su come comprare i libri di Sergio Calamandrei


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Sergio Calamandrei

Sergio Calamandrei: vivo a Firenze, dove pratico il prosaico mestiere di commercialista. Mi appassionano scrittura, storia e letteratura. Per saperne di più: www.calamandrei.it/chi-sono-sergio-calamandrei/

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